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Mar
08
2013

Ricordi di un sahariano

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"Nel 1922, ventenne, giovane laureato e assistente al museo, fui spedito sulla costa sahariana, a Port-Etienne, per studiare i pesci e la pesca, davanti all’oceano, liquido, salato ma addossato a un altro, quest’ultimo petrigno: il deserto. Potevo fare a meno ancora furtivamente, di lanciare uno sguardo dietro le spalle, vedendo sparire l’orizzonte tutto velato di polvere luminosa, tutto deformato dalle vibrazioni del miraggio, di provare le tentazioni dell’incognito celato dietro il sol levante, il fascino di quei nomi sonori, per me ancora misteriosi, Tasiast, Azzefal, Akchar, Adrar?"

Bisogna guardarlo questo Sahara, più da vicino, raso terra, dal triplo punto di vista del cammelliere, del ricercatore, dell’uomo. E, prima di tutto, parlare del vero deserto … quello dell’esperienza vissuta, quello di conseguenza della verità … e non ingenuamente immaginari e fraudolentemente inventati … ma se rifiuto allo stesso tempo il sensazionalismo del cattivo reportage e la stupidaggine sentimentale cara a tanti racconti di viaggi, non ho mai pensato “reale” e “materiale” siano sinonimi e che di conseguenza il sahariano, debba guardarsi bene da qualsiasi sentimento estetico e perfino da qualsiasi emozione spirituale davanti ai prodigiosi spettacoli del deserto: non ho nulla contro il fervore, ce l’ho soltanto con la stupidità. Sono sensibile quanto chiunque altro alle calme bellezze della duna, a questa straordinaria mescolanza di creste e modellato , di brutalità e tenerezza, di vigore e di curve (direi di minerale e di femminile?) ...

sahara

 

 

L’entrata in un ordine religioso implica la sottomissione a una regola; l’entrata “nel” Sahara pone ugualmente il postulante davanti a un certo numero di esigenze, elementi di un genere di vita specifica e di cui tutti i vecchi professi riconosceranno i benefici, del resto tanto materiali che spirituali.

Alla rinfusa, caoticamente, qualche elemento della regola dell’ordine dei fratelli sahariani:

-            La vita rasoterra, da cui ci si “scolla” solo montando sul cammello; quindi, tutto sommato, neanche troppo spesso visto che il meharista è di fatto, in gran parte, un pedone: né sedie né tavolo né letto, permanente il contatto con l’epidermide del pianeta.

-            La vita sotto il cielo, al centro di un paesaggio dagli orizzonti per lo più circolari, e per “tetto” una cupola emisferica completa in cui si iscrivono la corsa del sole di giorno e il lento cammino delle costellazioni di notte: anche senza orologio, il viaggiatore sa sempre che ore sono e si sente, tanto di giorno quanto di notte, collocato al centro dello stesso orologio astronomico che, solo,organizzala sua esistenza quotidiana. Perché si vive al ritmo stesso del Cosmo; altrove si bara, qui si obbedisce, come le altre bestie: il giorno è giorno, la notte è la notte, e l’uomo, animale diurno, si alza con i chiarori all’alba e si addormenta al ritorno dell’oscurità. So bene che comunque si ha con il fuoco – per lo meno là dove qualche solido ramo di acacia consentirà di intrattenersi oltre le esigenze del pasto serale – una certa possibilità di veglia e, se necessario, di calore: l’uomo è infatti l’unico animale la cui tana si illumina di notte.

-            Altro beneficio del deserto: l’apprendimento di una certa insensibilità davanti ai propri incidenti, di anima e di epidermide. Laggiù, nel paese delle case, delle tavole e delle vasche da bagno, il minimo graffietto ci fa correre dal farmacista; qui, mille incidenti, se non addirittura complicazioni che altrove esigerebbero medicazioni, farmaci o un medico, sono semplicemente trattati con il silenzio e il disprezzo. A che cosa serve allora lamentarsi, e, d’altra parte, con chi? allora taci e cammina: che tu senta male o no, che quell’uomo abbia la febbre o no, che sia addirittura incapace di tenersi in sella, che si abbarbichi, pacchetto doloroso e piagnucolante sul basto, bisogna che pur la tappa si faccia, e si farà. … paradossalmente, si vive molto più in pubblico nel deserto che in città. A Londra o Parigi potrei, se necessario, nascondermi. Nel sahara, dove si vive allo stesso tempo davanti al cielo e ai propri compagni e dove, per di più, sul suolo sabbioso la traccia tradisce sempre il proprio autore, nessuno riuscirebbe a dissimularsi.

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Per l’europeo sedicente “civilizzato", uno dei più salutari insegnamenti del Sahara è un perpetuo appello allo sforzo, fisico o no. Ovviamente, questo punto della regola non è specificatamente desertico: le regioni polari, l’alta montagna, il mare aperto(in certe condizioni), la foresta fitta ecc. possono presentare simmetriche esigenze. In fondo, quello che differisce è piuttosto la modalità di applicazione di questa ascesa: orizzontale per il Sahara e i poli, verticale per gli alpinisti …

È anche una grande scoperta, per il “civilizzato”, apprendere con la pratica della vita sahariana autentica che occorre veramente ben poco per vivere, stare bene e anche compiere sforzi fisici talvolta considerevoli; un po’ di riso, un pugno di datteri, qualche sorso di acqua, di latte o di tè, …

Monotono, il deserto? Volete scherzare! tanto per il cieco, indubbiamente, quello vero, fisiologico, quanto per l’altro, il viaggiatore banale, ordinario, privo di curiosità e che non sa né vedere né guardare.

Ma la grande lezione del deserto, il capitolo cardinale della regola, è ancora la pazienza, l’umiltà, la sottomissione al reale, benefico esercizio per un orgoglioso primate, troppo tentato di credersi al centro del mondo e il re della creazione, destinato alla dominazione di un pianeta che la sua stupidità e rapacità tendono troppo spesso a considerare una preda da saccheggiare senza rimorsi piuttosto che una realtà da rispettare. Qui, nel deserto, non si comanda, si ottempera:questo pozzo è qui, e non là, e il successivo a 650 km di distanza, non uno di meno: prendere o lasciare; se non vista bene, non andateci affatto, restate a casa vostra a guardare televisione o a leggere polizieschi, ma se entrate nel Sahara, allora state al gioco e accettate di vedere il vostro puerile orgoglio beffeggiato dalla sabbia, dalla spina o dal ciottolo, dal vento, dal freddo e dal sole. Qui, il “re” ridiventa lo schiavo e nulla verrà modificato in suo onore …

Rassegnati prima del tempo a vedere i tuoi beni materiali smembrarsi lentamente – o rapidamente – sotto i tuoi occhi. Osserva un oggetto e nota i progressi della sua distruzione. Non protestare, bisogna abituarsi alla regola, con il relativo insegnamento:”il beni di questo mondo sono effimeri”. Lo si impara meglio qui che altrove.

Il giorno in cui avrai deciso di levare il campo all’alba, perché ciò che fai ti sembra molto importante e urgente e appartieni a un mondo che non è capace, serenamente, di perdere il proprio tempo, ci sarà un incidente ad insegnarti la vanità del tuo agitarti.

Esiste un luogo dove si possa in modo più eclatante scoprire l’estrema fugacità delle cose materiali, e scoprire quanto restino illusorie le apparenze della permanenza e della immobilità? Semplice questione di proporzione: come può un effimero pidocchio sapere che tutto scorre, le dune come le montagne, al gioco dei flussi e riflussi di maree di ampiezza cosmica?

D’altra parte ti conosco bene. Quando sarà venuta questa vendetta tanto sperata, quando andrai a letto, appagato da vivande delicate che non scricchiolano sotto i denti, dissetato da un’acqua incolore, senza peli di caprone, in un letto da sibarita, sotto un tetto, al caldo, allora, invece di gustare durevolmente la tua felicità, molto rapidamente, appena la grande stanchezza delle tue marce solitarie sarà dimenticata, allora comincerai a rimpiangere le tappe rudi, i piedi scorticati, le labbra spaccate, i sonni raggomitolati sotto le stelle … e alla prima occasione, come me, ripartirai …

Qui alle soglie del deserto dei deserti, questa affliggenti banalità, questo sentimentalismo volgare la cui “tenerezza” deve obbligatoriamente fare rima con “carezza”… ritrova qui la sua vera dimensione e collocazione: perché anche noi abbiamo la nostra gioia di vivere, nonostante le enormi fatiche, i mezzogiorni senza ombra oppressi dal sole, le pungenti notti ventose e quei poveri talloni … Ma forse di altra qualità.

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Il vero navigatore sahariano deve essere pronto a tutto, perché è proprio di navigazione che si tratta, e anche alturiera: circa 900 km. In linea retta da un punto d’acqua al successivo deve assomigliare da vicino a Calais-Marsiglia o Parigi-Berlino. Sono molte le regioni del globo, al di fuori degli oceani, dove si possa marciare pre tre settimane su un solo azimut, senza dover spostare una sola volta la traiettoria? E in fin dei conti, che cosa ci sarebbe da aggirare qui, in questa no man’s land grande dieci volte il Belgio o come mezza Francia, ma senza una roccia, senza un albero, senza una valle, senza una collina, senza nient’altro che sabbia, che sabbie dure, molli, rosse, bianche, piatte, ondulate, distese a strati, ammonticchiate in dune pericolanti cavalcate da creste vive, sabbia, sabbia, sabbia per oltre 1000 chilometri, di che scoraggiare il turista, anche ben disposto..?

Allora perché rischiare sull’Atlantico in piroga quando esistono dei transatlantici? Perché lanciarsi all’avventura con la bussola sulla distanza tra Parigi e Barcellona con cinque cammelli e due goumiers, quando ci sono veicoli “fuoristrada” capaci di andare praticamente ovunque? … consigliarmi di prendere la land rover per questo tipo di esplorazione sarebbe insomma un po’ come se rispondessi, a uno che mi confida la sua eccitazione per un appuntamento galante in vista:” ma perché non ci manda il giardiniere?”

… noi, i sahariani di ieri, quando il nostro deserto odorerà di petrolio conserveremo l’ardente e quasi dolorosa nostalgia di quello profumato dagli amenti dell’oro delle mimose, di quello che strappava a un beduino, perso nel cuore di una spaventosa immensità senza pozzo ma davanti al bel verde-blu di qualche ciuffo di had sulla sabbia arancione, queste parole:”Trab Munek!”,”ah. Il bel paese!”.

… ecco che il vero Sahara si degna infine di apparire: finalmente! Il cram-cram, scoraggiato abbandona, il suolo non è più di polvere brunastra o cinerea ma di sabbia pulita, la muraglia dell’imboschimento cede e ben presto ci si scopre al centro di un lontano orizzonte circolare, di ampiezza oceanica, un po’ sorpresi nel vedersi precipitati tanto bruscamente nel cuore del vero deserto, e inquieti …

- liberamente tratto e ispirato da "Lo smeraldo dei Garamanti" di Theodore Monod

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